A volte riguarda foto e video intimi realizzati e condivisi in maniera consensuale. Altre, materiale rubato o ottenuto con l’inganno. In tutti i casi, il revenge porn diffonde contenuti sessualmente espliciti senza l’autorizzazione di chi in quei contenuti ci appare.
Il fenomeno è sempre più diffuso e in Italia è diventato tragicamente di attualità dopo alcuni casi dall’epilogo drammatico. Ma in cosa consiste e come è possibile difendersi?
Cos’è il revenge porn
Il “revenge porn” – lo dice la definizione – è una vendetta che ha a che fare con la pornografia e consiste nella diffusione di foto e video dal contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso della persona ritratta. L’obiettivo è umiliare la vittima e farle del male per “punirla” di qualcosa. Non a caso, molto spesso, a mettere in circolazione il materiale è un ex e le immagini sono state condivise da chi vi appare – per esempio facendo “sexting” – con la convinzione che sarebbero rimaste private. Ma capita anche che foto e video siano stati realizzati all’insaputa della vittima, che scopre della loro esistenza quando sono di dominio pubblico.
La definizione “revenge porn”, però, fotografa solo una parte di un fenomeno più grande. La diffusione di pornografia non consensuale non avviene sempre per vendetta. A volte, il possesso di foto e video intimi viene utilizzato come arma di controllo e ricatto. Per evitare che vengano diffusi, la vittima deve accettare coercizioni e imposizioni o pagare un vero e proprio riscatto. Altre volte, invece, il materiale viene condiviso perché farlo non viene considerato qualcosa di sbagliato.
Un’indagine del 2020 promossa dall’associazione no-profit PermessoNegato e condotta dall’agenzia The Fool ha evidenziato che il 12% degli intervistati pensa che il revenge porn non sia un reato in Italia (quale invece è dal 2019) e il 6% ritiene che non sia affatto un reato. L’84% di chi ha condiviso foto o video intimi di qualcun altro lo rifarebbe: 2 su 3 lo ritengono divertente o non offensivo, 1 su 4 si sente autorizzato se non conosce la persona.
Vero è che il 75% dichiara di avere sentito parlare del fenomeno e il 42% dice di conoscerlo bene, ma questo non ha impedito a circa 2 milioni di italiani di finire vittima di pornografia non consensuale.
La condivisione di foto e video dal contenuto sessualmente esplicito avviene tramite chat, social, siti web e forum e ha un effetto dirompente sulle vittime. Gli effetti più diffusi sono stress, attacchi di panico e depressione, ma anche perdita di autostima, senso di isolamento e difficoltà di relazione. Per molti condurre una vita normale diventa impossibile. La violazione subita condiziona i rapporti sociali e il lavoro e nei casi più gravi porta a mettere in pratica atti di autolesionismo e a elaborare pensieri suicidi.
Cosa dice la legge
Il revenge porn in Italia è un reato. A stabilirlo è l’art. 612-ter del Codice penale, denominato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
La disposizione fa parte del cosiddetto “Codice Rosso” (art. 10 comma 1 della L. 19 luglio 2019 n. 69), che tutela le vittime di violenza domestica e di genere, e punisce non solo chi “invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate“, ma anche chi “avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento“.
In altre parole, l’art. 612-ter del Codice penale sanziona sia chi pratica il revenge porn in maniera diretta sia chi agisce come intermediario con pene da 1 a 6 anni di reclusione e con multe da 5.000 a 15.000 euro (a seconda della gravità del reato).
Il ruolo del Garante della Privacy
Il revenge porn e più in generale la pornografia non consensuale sono (anche) una violazione della sfera privata di una persona. Per tale ragione, il Garante della Privacy riveste un ruolo chiave nell’impedire che vengano messi in atto e/o possano arrecare danno.
Il nuovo art. 144-bis del Codice Privacy stabilisce che “chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facoltà di segnalare il pericolo al Garante” e che quest’ultimo “nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli articoli 143 e 144 del presente codice“.
Questo significa che le vittime (ma anche chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela) possono fare una sorta di “segnalazione di emergenza” al Garante della Privacy e che quest’ultimo nell’arco di due giorni può avviare le indagini e predisporre un provvedimento volto a impedire la diffusione del materiale oggetto di segnalazione.
Le modalità e i termini della segnalazione sono definiti dall’art. 33-bis del Codice Privacy, mentre sul sito garanteprivacy.it è possibile scaricare il modulo da compilare per fornire al Garante le informazioni utili a valutare il caso.
Come difendersi dal revenge porn
L’indagine condotta da PermessoNegato ha rilevato una diffusa sfiducia nella giustizia e nelle azioni per contrastare la pornografia non consensuale e il revenge porn. Ma segnalare e denunciare alle autorità competenti rimane un passo fondamentale per non essere stritolati in un meccanismo che può rivelarsi letale. A chi rivolgersi, però?
Per difendersi dalla pornografia non consensuale e dal revenge porn si può fare riferimento alle autorità giudiziarie (la Polizia Postale, i Carabinieri…), a un avvocato o un’associazione di categoria (per esempio, Odiare ti costa) o a realtà private che offrono supporto e mezzi per affrontare la situazione e gestirla (come PermessoNegato e Chi odia paga).
A monte, resta fondamentale proteggere e avere cura dei propri dati personali, in particolare foto e video.
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