La “guerra” ha avuto inizio: Salvatore Aranzulla, uno dei più noti divulgatori informatici (il suo sito è fra i 30 più visitati in Italia) ha lanciato la pietra del casus belli: Chiara Ferragni e co. sono destinati a sparire. Le motivazioni sono tecniche: mentre il buon Salvo deve le sue fortune al proprio portale, che è di sua proprietà, gli influencer della nuova ondata si affidano a piattaforme terze come Facebook e Instagram, le quali hanno fra l’altro problemi di numeri finti piuttosto forti.
Quanto può durare la carriera un influencer?
Personalmente credo che Aranzulla abbia lanciato un amo attira-click (clickbait in gergo), per tutta una serie di motivazioni che – oltre a essere con tutta probabilità fallaci – vado a illustrare.
Le fonti di traffico
L’affermazione sulla quale ruota la diatriba, ovvero che gli influencer basandosi su piattaforme terze sono più a rischio di un blogger, ha un fondamento di verità: se, per assurdo, il profilo di Chiara Ferragni venisse chiuso dalla piattaforma, la prima della classe al mondo (secondo Forbes), perderebbe il suo tesoretto di follower.
Esiste però un MA grande quanto una casa: la Ferragni è ormai a tutti gli effetti un “prodotto” essa stessa, che fattura anche più di Aranzulla (10 milioni contro 3), inoltre – da brava imprenditrice di sé stessa – sarebbe sicuramente in grado di cavalcare l’onda di un ipotetico nuovo social.
La problematica sussiste per tutto il sottobosco di influencer e micro-influencer che non riescono ad adattarsi ai cambiamenti: qualche tempo fa YouTube ha attuato una nuova politica di retribuzione delle visualizzazioni che ha spazzato tutti i medio-piccoli, mentre non ha intaccato i grossi creatori di contenuti. Qualcuno, invece, è riuscito a sopravvivere allo tsunami spostandosi su nuove piattaforme come Twitch.
Il sito di Salvatore Aranzulla deve grandissima parte delle sue fortune a un buon posizionamento di Google (ovvero, ogni volta che si effettuano ricerche del tipo “come spegnere iPhone“, fra i primi risultati vi è sempre il suo portale). Ora, cosa succedesse se domani il motore di ricerca NON restituisse più aranzulla.it come risultato migliore? I padroni del nuovo vapore, la visibilità, anche ad avere un proprio mezzo come il portale, sono Google e i social (Facebook, Instagram, etc.). In ogni caso.
L’evoluzione del concetto di influencer
In realtà, gli influencer sono sempre esistiti: prima si chiamavano testimonial, trendsetter e quant’altro. Ciò che distingue i vecchi dai nuovi è il processo: un testimonial è di solito una persona che è famosa per altri meriti e presta il suo volto per un prodotto/servizio. Nel caso degli influencer, si tratta a loro volta di prodotti, di figure – talvolta partite dal basso, talvolta costruite a tavolino – per essere portatori di nuovi trend, in modo “scientifico” e non casuale come l’associazione personalità famosa/prodotto.
I più svegli fra gli influencer lo hanno capito, e hanno saputo differenziare i loro introiti e la loro professionalità (vedi la solita Ferragni e il corso di trucco da lei non solo promosso, ma organizzato con un professionista).
Aranzulla stesso è un influencer
Oltre ad avere a sua volta le proprie posizioni Social, lo stesso Salvatore Aranzulla sta seguendo un percorso non distante da quello di un influencer canonico, fra corsi di formazione legati al successo della sua figura di imprenditore fattosi sui contenuti, più una narrazione di sé (storytelling) piuttosto presente.
Insomma, certi dissing servono più a serrare i ranghi e a “pingare”/evidenziare la propria presenza, come nella logica attuale della visibilità.
Cover photo by Elijah O’Donnell on Unsplash