Sono ormai anni che sostengono un’asserzione: il lettore online non esiste. Esiste l’utente, in quanto fruitore di contenuti, utilizzatore di prodotti editoriali che si possono dividere in categorie di testo, video e immagini.
La comunicazione è semplice, immediata, rapida: ho avuto la fortuna di nascere a cavallo fra l’ultima generazione analogica e la prima digitale, in modo tale da ricordare com’era il mondo senza le reti sociali e non essere troppo in male arnese per comprendere le rivoluzioni continue che portano.
Un altro dato interessante che va nella direzione di una comunicazione sempre più fulminea è emerso poco meno di un anno fa: la generazione Z (da non confondersi con i Millennials, di cui faccio parte io, under35 ma non under25) sta abbandonando in massa i lidi di Facebook, appannaggio ormai dei loro genitori, per approdare a social network visivi, quindi immediati sia nell’apprendimento che nell’utilizzo come Instagram e Snapchat.
Se nomi come Chiara Ferragni o Giulia De Lellis, oggi sono noti al grande pubblico per la loro presenza su canali più istituzionali, la loro raison d’être nasce per l’appunto sui social visivi e fa un certo effetto constatare come icone ventennali come Michelle Hunziker li usino per lanciare i loro nuovi progetti.
L’immediatezza e la freschezza risultano più importanti di approfondimenti che richiederebbero troppo tempo in un’epoca bulimica di contenuti, si vive di micro-momenti che costituiscono un flusso costante e perennemente presente di informazioni le quali, per il loro ciclo vitale e il peso di una farfalla, non posso che essere di entertainment in senso largo.
I Plurals, TikTok e i micro-momenti
Una delle denominazioni più interessanti date alla generazione Z è quella di Plurals: essi sono molto più propensi alla condivisione e alla creazione di contenuti originali (User generated Content si diceva 10 anni fa nei primi testi universitari dedicati al fenomeno, un’era geologica fa per il web) e la crescita esponenziale dell’ultimo degli esponenti dei social media visivi, TikTok – 100 milioni di utenti, di cui 4 in Italia – ne è una conferma.
Visualizza questo post su Instagramdon’t mind me, just crossing into the weekend #TikTok #TikTokDontStop #flip #gymnastics #parkour
TikTok è interessante poiché recupera un concetto di Vine, un’app assorbita dal leviatano Facebook, ovvero la creazione di brevi video, in questo caso musicali che interpretano con dei balli originali alcuni dei pezzi musicali del momento, dando vita a vere e proprie challenge i cui migliori performer sembrano destinati a soppiantare gli YouTuber e affini, che pur avevano iniziato a costruire una propria dignità autoriale con piani editoriali e palinsesti.
TikTok è estremamente più istintivo e, al momento, va in direzione contraria e opposta alla strutturazione di un qualcosa che non sia un micro-momento di un video di pochi secondi. Eppure, proprio per questa sua comunicazione semplice (mi invento un balletto su una canzone del momento e la metto in competizione con altre, condividendola) a oggi rappresenta lo zenit delle reti sociali per la generazione che soppianterà la penultima, la mia.
I quindici minuti di celebrità, in confronto, sono un’eternità.
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