Secondo l’ultimo Global Digital Report di We Are Social e Hootsuite, sono 3 miliardi e mezzo gli utilizzatori dei social network, con un aumento di 288 milioni di persone rispetto l’anno precedente (circa il 10%).
In pratica è come se anche quest’anno un nuovo continente si fosse aggregato alla nuova Pangea digitale rappresentata da Facebook, Instagram e il nuovo arrivato TikTok.
Da più parti si sente dire che le persone, la gente, si è scocciata delle reti sociali e le interazioni sono in calo. In realtà, approfondendo il report, si scopre che non è affatto così e che ci sono due atteggiamenti predominanti che scardinano queste convinzioni in bilico fra il naif e il radical chic:
- Quando un social network “cala” è perché sta avvenendo una transumanza umana da un portale all’altro (vedi la crescita di TikTok fra i giovanissimi, in alternativa o insieme anche agli altri network).
- Molti profili sono “lurker“, che nel gergo del primo Internet intendeva chi è iscritto a un forum, a una newsletter – oggi a un social network – partecipando solo passivamente, ovvero visualizzando i contenuti degli altri senza postare.
Questo modo di comportarsi online, che scardina gli incoraggiamenti tipici delle piattaforme (es. “come ti senti oggi?” o “posta qui il tuo primo video/la tua prima foto“) che sottostanno a una vera e propria scienza, la captologia; mostra un utilizzo più maturo dei social network.
Vorrei sottolineare la differenza di maturo – inteso come una nuova fase di approccio alle reti sociali – rispetto all’esperto che rimane appannaggio di chi usa i social network per lavoro, in quanto sottosta a tutta un’altra serie di regole.
Tuttavia, si può asserire che gli utenti comuni, rispetto ai “guru”, hanno già compiuto un passo avanti, che questi ultimi dovranno interpretare pena la perdita della capacità di lettura dei nostri tempi digitali.
Sui social network non è più un obbligo mostrarsi felici, in una sorta di dittatura della Eudaimonia (della felicità/benessere per dirla alla “greca”), una tensione che ormai è appannaggio solo di un certo tipo di manager con nostalgie yuppie.
Video di viaggi da sogno e foto con didascalie ammiccanti del tipo “non torno più” fanno sempre meno presa e su fasce digitalmente meno preparate rispetto la media, l’unico target rimasto a questi portatori forzati di benessere.
Ciò che è cambiato davvero è il mostrarsi sempre leggeri – a volte anche abbassando il livello di gravità di un evento – in quello che è un perenne:
MEMEnto mori
Ovvero “ricordati che devi morire” ma applicato all’utilizzo dei meme ovvero le immagini, i video e i gif che riprendono un momento esatto e lo ri-elaborano in chiave ironica aggiungendo elementi della cultura pop condivisa.
Eventi come Sanremo sono ormai seguiti più per tutto il corollario dei meme che per l’effettivo festival in sé e finanche fatti di cronaca più seri sono oggetto di questa leggerezza da social, in una sorta di gara a chi produce l’immagine divertente più persistente.
Probabilmente è questo il vulnus del modo nuovo di approcciare ai social network ma, se mi è concesso scriverlo, lo trovo molto più fresco rispetto al ghigno perenne di felicità finte.
Bisogna solo stare attenti a non fare la fine del Joker che rideva di fronte a ogni tragedia, rendendola grottesca. Forse questa volta ce la faremo… o no?
Cover photo by Josh Rose on Unsplash