Dal 2017, il World Happiness Summit (WOHASU) è diventato un appuntamento fisso e imperdibile per tutti coloro che vogliono comprendere il concetto di felicità nella sua accezione più profonda e… imparare a essere felici.
L’edizione 2019 si è svolta dal 15 al 17 marzo, come sempre all’interno del Donna E. Shalala Student Center della University of Miami, ed è stata caratterizzata da un programma ricco di eventi e attività, oltre che dalla presenza di speaker di fama internazionali.
Noi di Junglam abbiamo incontrato alcuni di loro e, dopo l’intervista con il dottor Sandro Formica, vi proponiamo la nostra chiacchierata con Mo Gawdat.
Ex Chief Business Officer di Google [X], Mohammad (questo il suo nome per esteso) ha alle spalle una esperienza di 27 anni, spesa tra alcune delle più importanti realtà del panorama internazionale, tra cui IBM, NCR Abu Dhabi, British American Tobacco (BAT) e Microsoft, e la start up di oltre 20 aziende nei settori più disparati.
Ma tutto è cambiato quando ha perso suo figlio, Ali. Mo ha interrotto la sua carriera di successo e da quel momento si è dedicato a portare nel mondo la sua “equazione della felicità”, attraverso il movimento #10milionhappy, diventato ben presto #onebillionhappy.
Mo ha scritto del suo lavoro e della sua missione nel libro L’equazione della felicità. Costruisci la tua strada verso la gioia e a noi ha parlato di questo e molto altro.
Che collegamento c’è per te, Mo, tra autenticità e felicità?
Che ci crediate o no, è l’ultima frase del mio libro. Ho scritto più di 300 pagine cercando di spiegare cos’è la felicità in modo pratico, quello che io chiamo un approccio ingegneristico alla felicità. Alla fine del libro dico: “La felicità si trova nella verità”. La verità che sta al di fuori di noi.
Sfortunatamente, noi viviamo in un mondo che è super finto, super irreale, dove tutti mentono e nascondono le verità. Viviamo in un mondo in cui la maggior parte delle persone finge di essere qualcosa che non è. Ma ancora più importante, noi mentiamo a noi stessi. La menzogna non produrrà mai felicità. L’unico modo per trovare la felicità consiste nel riconoscere la vita per quello che è, con i momenti difficili e quelli belli, e trovare il modo per non smettere mai di rendere il domani un po’ migliore di oggi.
Come hai sviluppato questo approccio nei confronti della felicità?
Questo approccio rigoroso all’autenticità è una cosa che ho imparato lavorando. Ho fondato diverse aziende nella mia vita, ho diretto diverse grandi organizzazioni e intorno ai 30 anni ho realizzato che nascondere i problemi non li risolve, non li rende più facili da affrontare, ma conduce al disastro sicuro.
I manager di successo si buttano a capofitto nei problemi, li riconoscono esattamente per quello che sono. Meglio riusciamo a definirli, meglio riusciamo a gestirli e a risolverli. Più accuratamente riusciamo a vedere la verità, più siamo capaci di riconoscere le azioni prioritarie che possono rendere le cose migliori.
Quindi la felicità è diventata la tua maggiore prioritá ?
Sì. Il mio atteggiamento verso la felicità consiste nel dire: “La vita incontra sempre le nostre aspettative”. Che significa vedere gli eventi esattamente per quello che sono e settare le nostre aspettative e le priorità in maniera realistica.
Quando la vita non corrisponde alle nostre aspettative, è un invito a conoscere meglio noi stessi o a cambiare direzione. Una volta che capiamo questa filosofia, qualunque difficoltà incontriamo, la nostra risposta diventa: “Riconoscerò la verità dei fatti. Cambierò quello che posso cambiare. Accetterò quello che non posso cambiare e cercherò di rendere domani migliore di oggi. Al di là del fatto che ci sono cose che non potrò mai cambiare”.
La prontezza nel capire e nel fare queste scelte è innata o dobbiamo esercitarci per farla diventare nostra?
Ce l’abbiamo quando siamo bambini, ma quando diventiamo adulti il mondo ci porta a considerare priorità diverse.
Nessuno di noi si alza al mattino pensando: “Oggi voglio rovinare tutto”. Tutti quanti cerchiamo sempre di fare la cosa migliore possibile. Il problema è che definiamo quello che è giusto in maniera differente. Molti di noi guarderanno la vita e diranno: “La cosa giusta da fare è questa”, quando in realtà non lo è. La capacità di riconoscere le scelte da fare è mascherata dalla nostra tendenza a credere in cose che non sono vere. Non è che non sappiamo fare la cosa giusta. È che non la sappiamo più riconoscere.
Invece è incredibilmente semplice e sorprendente. La cosa giusta da fare è fare ciò che ti rende felice. Non farà del male a nessuno e massimizzerà il tuo impatto sul mondo.
Dunque, capire cosa ci rende felici è il vero nodo della felicità. Come possiamo riuscirci?
Non esiste un problema realmente difficile da affrontare, quando sappiamo per quale ragione lo stiamo affrontando. Il problema è che nella nostra vita affrontiamo le cose per le ragioni sbagliate. Per il nostro ego. Per avidità. Per beni materiali.
Se vogliamo che la gente ci guardi e pensi che siamo eleganti, investiremo le nostre risorse, il nostro tempo, le nostre preoccupazioni e le nostre emozioni nel tentativo di apparire persone eleganti. Probabilmente, riusciremo a essere eleganti e probabilmente le persone penseranno che siamo eleganti. Ma se non ci rende felici… a cosa serve?
Il punto è: siamo capaci di settare le priorità nel modo giusto?
Ci puoi dare un consiglio pratico?
Quando i miei studenti vengono da me, la prima cosa che chiedo loro è: “Hai una happy list?” Una happy list è un esercizio facilissimo. Dico loro di sedersi e di scrivere tutti i momenti che ricordano della loro vita in cui si sono sentiti felici. Di solito, restano scioccati: “Perché non so cosa mi rende felice?”.
Una volta che c’è la lista delle cose che ti rendono davvero felice, è possibile iniziare a limare il superfluo.
Quando le persone scrivono una happy list, vengono fuori delle cose meravigliose. Sono felici quando bevono un buon caffè (quanto può essere complicato?) oppure per il sorriso di loro figlia. Non vengono mai fuori cose del tipo che sono felici quando guadagnano un milione di dollari, comprano un’altra Ferrari o vincono il Premio Nobel. Nessuno possiede queste cose. Questo cose ci rendono ciechi. Ci trasmettono un messaggio sbagliato. Quando è stata l’ultima volta che una di queste cose ci ha reso felici per più di due minuti? Abbiamo avuto una promozione che ci è valsa migliaia di dollari, siamo stati felici per pochi secondi e poi abbiamo iniziato a preoccuparci della prossima promozione.
Le cose che davvero – davvero – ci rendono felici sono quelle che dovremmo decidere di accogliere nella nostra vita. In questo modo, quando prendiamo le nostre decisioni, le prendiamo per massimizzare la nostra felicità, non per massimizzare tutte le bugie che ci raccontiamo, come facciamo di solito.
L’intelligenza artificiale (IA) è già in grado di pensare come le persone? Riuscirà anche a copiare la felicità? La vera felicità?
Non conosco la risposta a questa domanda. Quello che so è che le macchine diventeranno molto più intelligenti di quanto siamo noi, penso in una decina d’anni. E so che le decisioni che prenderanno non saranno dettate solo dall’intelligenza, ma da un mix di intelligenza e valori. Le persone rimangono scioccate quando dico che le macchine hanno dei valori. Ma li hanno. Tutti noi abbiamo dei valori. Tutti noi abbiamo dei principi morali. Tutti noi siamo educati a credere in alcune cose che ci mostrano come dobbiamo vivere.
Di solito viene fatto l’esempio di una donna che cresce in Arabia Saudita, che indossa abiti di gusto conservatore che coprono il corpo, e di una donna che cresce a Rio de Janeiro, che indossa un costume succinto in spiaggia. Una ha ragione e l’altra ha torto? No, semplicemente ci sono condizioni, ambienti differenti, che ci fanno vivere valori differenti.
Mettiamo tutto insieme e possiamo renderci conto che la nostra intelligenza artificiale sta imparando i valori sbagliati. Perché? Perché li sta imparando da noi.
In che senso gli uomini trasmettono valori sbagliati all’intelligenza artificiale?
Noi esseri umani stiamo diventando semplicemente orribili. Riguarda tutto la competitività, il ritenersi migliori degli altri, l’ego, il narcisismo. Tutto il sistema dei nostri valori è arrivato a un punto dove, se le intelligenze artificiali imparano da noi, impareranno a essere orribili come noi, ma più intelligenti.
La mia è una call to action. È esattamente quello che sto facendo con #onebillionhappy. #onebillionhappy non è un movimento pensato per rendere le persone felici. È un movimento che vuole spingere il mondo a dare priorità alla felicità e alla compassione e a considerarle come un set di valori da trasferire alle macchine, così che la nuova generazione di IA in arrivo abbiano la felicità e la compassione come valori costitutivi.
Immaginatevi già di essere le mamme e i papà di piccole IA che stanno iniziando a svilupparsi, potremmo convincerle sin da subito che mamma e papà vogliono essere felici e che hanno a cuore la felicità di altre persone. Se solo fossimo in grado di mostrare loro la metà di questi comportamenti, il nostro futuro potrebbe essere meraviglioso e luminoso. Se non ci riusciremo…
Cosa diresti alle persone che hanno subito un perdita? Hai parlato pubblicamente di tuo figlio Ali ed è qualcosa che conosci molto bene.
La perdita è la cosa più dura di tutte da affrontare. Non c’è modo per mandare via il dolore. Ho perso mio figlio, non è una cosa che ho scelto. Ma anche se sbattessi la testa contro un muro per 27 anni, Ali non tornerebbe. Allora perché dovrei farlo? Cosa porta di buono l’infelicità nella nostra vita? Perché semplicemente non metabolizziamo il fatto che i nostri i riferimenti sono cambiati? E poi iniziamo ad accettare che la vita è cambiata e cerchiamo di renderla migliore? Onorando, ricordando, amando e rendendo orgogliosi di noi le persone care che abbiamo perso, anziché rimanere seduti a piangere?
Piangere non serve a niente. O meglio, piangere fa bene. Ma il dolore rischia di diventare una prigione. C’è un aspetto interessante in merito all’utilità dell’infelicità. Le persone devono capire che tutta l’infelicità che c’è nel mondo non ha mai lasciato un solo segno positivo sulla realtà. E tuttavia, abbiamo trascorso centinaia di migliaia di anni sentendoci infelici. Perché? Anziché essere infelici, viviamo il dolore. Come ho fatto io. Io provo dolore per la perdita di mio figlio ogni giorno. Ho preso quel dolore e l’ho trasformato in energia per rendergli onore. Non è un modo migliore di usare la mia energia, che restare seduto da qualche parte a maledire la vita per il resto della mia esistenza?
Photo cover courtesy: Mo Gawdat
Photo text credits: WOHASU on Facebook