Dal 15 al 17 marzo, la University of Miami, all’interno del Donna E. Shalala Student Center, ha ospitato il World Happiness Summit 2019 (WOHASU). Noi di Junglam abbiamo partecipato e abbiamo incontrato alcuni degli speaker che hanno preso parte all’evento.
Tra le personalità alle quali abbiamo rivolto alcune domande c’è il dottor Sandro Formica.
Professionista con oltre 35 anni di esperienza nel settore della hospitality e dello sviluppo economico, titolare del corso The Science of Happiness and Personal Empowerment alla Florida International University e di Economia della Felicità all’Università di Palermo, oltre che docente alla SDA e al Master della Università Bocconi, il dottor Formica ha un obiettivo dichiarato:
Integrare la scienza della felicità nelle imprese, nelle istituzioni educative e nei governi.
Noi gli abbiamo chiesto di parlarci del suo lavoro e della sua missione.
Dottor Formica, ci sono differenze tra Italia e USA per quanto concerne la scienza della felicità?
In realtà no. La differenza è che negli USA la consapevolezza e le pratiche della scienza della felicità vengono condivise e comunicate. Invece, in Italia è più difficile che accada. Io immaginavo che l’Italia fosse molto indietro, sia per quello che riguarda la scienza della felicità che l’organizzazione positiva. Ma non è vero. Pittosto, in Italia se ne parla di meno oppure se ne parla a livello accademico. Quindi il messaggio non raggiunge tutti.
In questo senso, il World Happiness Forum ha un valore enorme. Il WOHASU ha basi scientifiche, ma è aperto a tutti. Si tratta di un aspetto fondamentale ed è anche il mio cavallo di battaglia. Ovvero, integrare nella quotidianità la scienza della felicità (che è scienza applicata) per fare stare bene i singoli e le organizzazioni.
Cos’è la felicità?
Io do alla felicità un significato profondo. La intendo come autoconsapevolezza. Ma non nel senso di scoprire i propri pregi e difetti. Non c’entra assolutamente niente. Per me, autoconsapevolezza significa prendere coscienza di tutte quelle componenti dell’essere che a scuola non vengono studiate e che i genitori e la società non solo non insegnano ma invitano a nascondere e che invece sono essenziali per il successo.
Degli elementi dell’autoconsapevolezza – i bisogni, i valori, l’utilizzazione dell’immaginazione, la comunicazione empatica, il proposito di vita – non uno viene insegnato a scuola. Anzi, di solito sono quegli elementi che viene detto ai ragazzi di lasciare andare. Ma è una stupidaggine. Sono fondamentali. Einstein diceva che l’intelligenza dovrebbe essere misurata sulla base dell’immaginazione.
Qual è l’approccio per raggiungere la felicità e mantenerla?
Il mio approccio alla felicità non è “pensa felice” o “sii felice”, che comunque sono cose importanti. Ma se non lavoriamo più in profondità, sul nostro essere, la felicità non è sostenibile. Non dura. E questo è il mio cavallo di battaglia: voglio creare un cambiamento comportamentale permanente. E non è possibile crearlo con gli schemini, ma in profondità. Se non facciamo questo lavoro di dialogo in profondità e continuiamo a considerare la felicità un elemento effimero, non andiamo da nessuna parte.
Il mio obiettivo è la felicità attraverso lo studio dell’essere e non è un caso che il mio corso The Science of Happiness and Personal Empowerment alla Florida International University sia il corso facoltativo più popolare. Così come accade per i corsi sulla felicità a Yale e Harvard. La ragione è che sono gli unici corsi sull’essere, gli altri sono tutti sul fare o sul trovare lavoro. Però l’essere è la base sulla quale è possibile costruire tutto il resto. Ma la base non c’è e non sappiamo come costruirla. Perciò credo che ci sia una grande necessità di iniziare a cambiare da questo punto di vista.
Quindi la felicità non è una questione di età o di maturità?
Ho visitato 35 scuole superiori in Italia, da Milano a Palermo, perché volevo proprio capire i ragazzi. Ho avuto incontri con i ragazzi in gruppi da 100 a 400, delle quarte e delle quinte, di tutti i tipi di istituti. Il loro messaggio è stato: “Non abbiamo punti di riferimento”. La famiglia non è un punto di riferimento, gli insegnanti men che meno. “Non sappiamo decidere, perché non abbiamo le basi”. Dopo che spiegavo loro cosa fosse la scienza del sé e come li avrebbe aiutati a crescere più felici, mi dicevano: “Non ci lasci”. Perciò so che c’è un bisogno.
Mi rendo conto che i millennial, i giovani, non hanno le basi. Dimentichiamoci la felicità. Proprio non hanno le basi per costruirsi una vita sana. Non gliele abbiamo date noi, perché nel curriculum scolastico non c’è una sola ora che abbia a che fare con l’essere. Ha tutto a che fare con il mondo esterno, mentre non ricevono insegnamenti sul mondo interno. E poi gli insegnanti non potrebbero farlo comunque, perché loro per primi – la maggior parte nemmeno 40enni – mi dicevano: “Non vedo l’ora di andare in pensione”. Che cosa possono offrire ai ragazzi, se dentro di loro non hanno vitalità, passione, entusiasmo? Questo è un problema grandissimo, che sto prendendo in considerazione in maniera molto, molto seria.
Tornando alla prima domanda, sulle differenze tra l’Italia e gli Stati Uniti, la condizione dei giovani è simile ma il contesto sociale gioca un ruolo determinante. Non che il curriculum degli studi e delle scuole sia diverso, ma negli USA c’è più ottimismo. E quindi c’è più fiducia. In Italia non c’è fiducia nel prossimo, a partire dalla famiglia fino ad arrivare alla società.
In Italia è possibile immaginare un cambiamento nella direzione della felicità?
Stiamo sviluppando un progetto in una scuola paritaria molto avanzata (con classi dalla materna alle superiori), dove la preside ha voluto integrare il curriculum con la scienza del sé e della felicità. L’attività va avanti da un anno e dal prossimo inizieremo ad avere qualche dato sul cambiamento dei ragazzi dal punto di vista della performance nei test standardizzati e della felicità. Lo stesso lavoro può essere fatto nelle organizzazioni.
In che modo è possibile realizzare questo cambiamento?
Per prima cosa, dando autorevolezza alla felicità e quindi rendendola una materia di studio a livello universitario. È una cosa fondamentale e c’è già [il corso del dottor Formica Economia della Felicità all’Università di Palermo, n.d.r.].
In seguito, penetrando nel tessuto sociale, sia dal punto di vista delle scuole che delle organizzazioni e degli individui. È chiaro che a livello individuale richiede maggiore tempo e fatica, ma il lavoro a livello individuale è fondamentale. La felicità “is an inside job”. Non possiamo scavalcare quell’aspetto, non possiamo affermare che vogliamo rendere il paese più felice e dire a qualcun altro di fare il lavoro al posto nostro.
È necessario riallineare sull’essere le persone, che sono sempre molto distratte dal fare. Chi comunica efficacemente, comunica l’essere, non comunica le parole. Le parole non dicono niente, solo una piccolissima percentuale. Se l’essere è allineato, le parole vengono recepite, se no è una perdita di tempo. Però non lo studiamo e non sappiamo come gestirlo.
Il mio obiettivo principale è proprio questo, essere felici in modo sostenibile, attraverso un lavoro approfondito sull’autoconsapevolezza.
Tra tutte le potenzialità umane, qual è quella assolutamente necessaria per innescare il cambiamento?
Senza dubbio, sono i bisogni. Lo dico anche nel primo capitolo del mio libro, Personal Empowerment: Empower the Leader Within You. Ma “necessaria” non significa “più importante”. La più importante di tutte sono i pensieri, le convinzioni. Assolutamente.
Però il punto di partenza sono i bisogni. Per esempio, questa intervista nasce da un bisogno di acquisire e condividere delle informazioni. Ogni azione è volta alla soddisfazione di un bisogno. Non facciamo niente che non soddisfi un bisogno. Solo questo consapevolezza cambia tutto.
Pensiamo ai rapporti intimi. Abbiamo mai domandato alla persona che ci sta accanto: “Quali sono i bisogni che per te è più importante che io soddisfi?” e “Quali sono quelli che hai affidato a me da soddisfare?”. Oppure, cosa accadrebbe se chiedessimo in azienda o ai ragazzi a scuola: “Quali sono i vostri bisogni?”. Potremmo eliminare il bullismo semplicemente andando dal bullo e domandandogli: “Qual è il tuo bisogno che genera questo comportamento?”. Trovare un comportamento sostitutivo per soddisfare quel bisogno in maniera più forte è la risposta.
La consapevolezza è la chiave di tutto. Quando un individuo inizia ad avere consapevolezza di quello che fa e a notare se le sue azioni sono sostenibili (ovvero, se fanno bene a lui/lei, al suo sviluppo e agli altri), ogni cosa si semplifica.
Photo courtesy: Sandro Formica